È sempre la stessa canzone

È difficile incontrare in tv, sui giornali o sul web dialoghi interessanti sulla musica, sul lavoro di musicista, sul suo ruolo sociale ed economico. 

Il rock riuscì a animare tutti, diventò una questione industrialmente interessante ma divenne anche un caso per la politica e il potere, che persero il controllo dei giovani. Anche grazie a questo fenomeno di costume, i ragazzi si incontrarono e si riconobbero diversi dalle vecchie generazioni. 

Anche la musica degli afroamericani, prima del rock e anche dopo il rock, era una questione seria, da qualunque punto di vista la si guardasse, politico elettorale, economico e identitario.

Da alcuni decenni le cose sembrano stravolte in ambito musicale e con l’avvento dei formati digitali e del web ancora di più. Ma il punto è il cambiamento di rapporto tra musica e società, tra musica e tempo libero, tra musica e lavoro, in definitiva penso sia cambiato il ruolo della musica nelle nostre vite.

Questo cambiamento riguarda un po’ tutti, da quelli che lavorano con la musica a quelli che fanno musica e ascoltano musica solo nel tempo libero.

Il succo secondo me è questo:

  1. La musica è disponibile in grande abbondanza e in maniera gratuita sul web.
  2. Fare uno dei tanti mestieri legati alla musica ha sempre meno mercato.
  3. C’è un calo trasversale di interesse, di entusiasmo, di passione per la musica.

Frequentando molto il web, per lavoro e per puro interesse ho cominciato a pensare che la musica come avventura sia in fase calante da molti anni, in termini di ricerca espressiva ed estetica, in termini di soldi e in termini di importanza sociale.

Forse questo deriva anche dal fatto che ho quasi 50 anni e che le persone della mia età sono in genere prese da altro, dal lavoro e dalla famiglia. In parte deve essere così, perché in rete ci sono video di giovani artisti italiani con milionate di visualizzazioni, il che vuol dire soldi, interesse, idee e cultura.

Devo dire però, da musicista e cantautore non professionista, che il quadro complessivo mi sembra non entusiasmante e non molto vario. 

La grande varietà di cose che posso ascoltare oggi deriva dalle caratteristiche del web e dalla possibilità di navigare nel passato e nel presente musicale di qualsiasi paese e genere.

In altre parole, la grande varietà di musica che abbiamo disponibile non proviene più dalla attuale produzione industriale di musica, deriva dalla possibilità di ascoltare e riascoltare tutta la musica del mondo. 

Prima, ognuno aveva la sua collezione di dischi e magari si incontrava per scambiarseli e per ascoltare musica live, fondamentalmente, si andava ai concerti.

Oggi, il web riesce a fornire sia l’ascolto di album musicali sia quello di eventi live, del passato e del presente, per fortuna direi.

Il risultato però è che un’etichetta o un musicista che vogliano produrre e distribuire nuova musica affrontano davvero un confronto impari col web nel suo insieme. Sono sempre di meno e a buon ragione quelli che vogliono fare musica come lavoro e forse anche nel tempo libero.

Credo che la crisi del modello industriale del secolo scorso abbia portato con se anche una crisi di creatività, soprattutto tra chi fa musica nel contesto industriale, dove prevalgono modelli di lavoro e canoni estetici abbastanza stabili da venti o trent’anni. 

L’ultima grande novità internazionale e stata l’onda rap e poi quella del reggaeton, un po’ di innovazione pop e r&b, forse fino ai primi anni duemila e poi non molto altro, mi sembra.

Forse c’è stato più aggiornamento nelle tecniche di marketing, il web e i social permettono ai manager dell’industria di segmentare più facilmente i pubblici e raggiungerli via web, per vendere il più possibile. 

Che pressioni arrivano agli artisti da questa situazione recente? si divertono, si scocciano, riescono a riconoscersi pienamente in quello che fanno?

La musica dell’industria musicale è quella che più facilmente abbiamo sotto gli occhi, in tv, sul web e negli store online. Il ruolo della musica nella nostra esperienza privata invece è un po’ più difficile da valutare.

Comunque quello che manca forse è la capacità di innovare e di entusiasmarsi. 

Come ascoltatori siamo distratti dalla possibilità di ascoltare di tutto, come musicisti il problema è sempre più quello di camparci in maniera sufficientemente comoda o di identificarsi con la propria produzione artistica.

Comunque la musica, a partire dal secolo scorso, è sempre stata fatta di due cose, di registrazioni e di eventi live itineranti. E questo rimane uguale, anche se il web apre a nuove possibilità, per esempio l’evento live che viaggia sul web.

Il concetto di album, inteso come registrazione periodica e progressiva del proprio lavoro, resta centrale per un musicista ma forse è diventato limitante come asse centrale del proprio lavoro sia artistico sia imprenditoriale, un punto di partenza fuorviante.

Forse bisognerebbe pensare a nuovi modelli di business, a un modo nuovo di organizzare il lavoro, in un equilibrio diverso tra la registrazione, l’evento live itinerante e la distribuzione sul web del proprio lavoro.

L’attività live e itinerante penso sia attualmente uno dei pochi sistemi utili a raggiungere un buon equilibrio tra pratica musicale gratificante e indipendenza economica. 

Il mercato, il libero mercato degli eventi live, fatto di tantissimi acquirenti potenziali (club, piccoli teatri, piccole radio o tv, etc) può essere faticoso ma è molto meglio di un rapporto di dipendenza con produttori e distributori, con le loro logiche regressive di promozione: interviste inutili e presenze televisive e radio fuori contesto.

A seconda del proprio livello di popolarità si può trovare un punto di equilibrio nuovo tra vendita di dischi, per tanti però sempre più difficile, e vendita di eventi live in club, feste di piazza, rassegne ma anche in tv radio o con streming a pagamento.

Il risultato di questo movimento forse troppo lento verso nuovi modelli di business, non ancora ben individuati, reso necessario dall’affermarsi dello streaming gratuito, è che la musica prodotta negli anni recenti sui palchi e nei dischi ha un contenuto innovativo molto basso. 

Soprattutto il rapporto tra musicisti, produttori e pubblico fatica a trovare le dinamiche espansive del passato, quando ci si espandeva economicamente ma anche creativamente e artisticamente. I cosiddetti big mi sembra siano forse quelli un po’ più statici, pochi dischi all’anno in assoluto, pochi dischi belli e poche vendite.

Qualsiasi nuova produzione di oggi si ascolti, jazz, cantautori, pop, r&b, si ha spesso l’impressione di assistere a scelte poco avventurose, forse poco libere. Si avverte la mancanza dell’avventura economica, di quella estetica e culturale.

Quello che si vede frequentemente non comunica molto entusiasmo, passione o divertimento. 

Inoltre la musica è normalizzata e non fa sognare più un modo di vivere nuovo, non indica più nuovi orizzonti esistenziali e di libertà come fece il jazz, il rock, il soul, come fecero i cantautori e la prima pop music.

Intrattenersi con la musica non rappresenta più un momento importante per la nostra società, un momento di ispirazione personale e condivisa collettivamente.

Forse come rito individuale mantiene una grande varietà di esperienze, ci sarà chi suona ancora con molto piacere, anche a casa da solo o con gli amici, ci sarà ancora chi ascolta un cd come fosse un momento sacro oppure un video su youtube come una preziosa possibilità di guardare il mondo e di guardarsi dentro.

Ma la musica non è più un’esperienza di relazione, collettiva, comunitaria importante da alcuni decenni, chissà magari tra qualche anno lo diventerà di nuovo, o forse io sono già vecchio e frequento persone annoiate e che hanno altro a cui pensare.

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